Oltre alla procedura ordinaria rappresentata dal ricorso all’Autorità giudiziaria le parti possono scegliere di demandare la risoluzione di determinate controversie alla decisione di uno o più arbitri, attivando un giudizio privato. Un procedimento decisamente più veloce di quello ordinario e che si divide in arbitrato rituale ed arbitrato irrituale, quest’ultimo elaborato dalla dottrina e dalla pratica e, successivamente, ammessa dalla giurisprudenza.
L’arbitrato rituale, espressamente disciplinato dal Codice di procedura civile, ricorre quando le parti di una controversia demandano agli arbitri/o l’esercizio di una giurisdizione, concorrente con quella ordinaria, per la risoluzione della lite. Si ha, invece, un arbitrato irrituale (o libero) quando agli arbitri/o è conferita la risoluzione di un rapporto controverso mediante una dichiarazione di volontà che viene imputata alle stesse parti del rapporto. L’arbitrato irrituale non pare trovare un’esplicita regolamentazione legislativa e si concretizza nell’accordo con il quale al terzo viene affidato il compito di risolvere la controversia con una dichiarazione sostanzialmente transattiva o accertativa dei diritti e degli obblighi delle parti, a seconda del contenuto dell’incarico.
Ciò premesso, la distinzione tra l’una e l’altra tipologia di arbitrato risiede nella interpretazione che si dà alla clausola compromissoria come formulata dalle parti. Secondo un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, l’indagine dell’interprete non può ridursi ad un’interpretazione restrittiva letterale, ma deve accertare la concreta volontà negoziale che ad essa sottende. In tale ottica, se da un lato viene generalmente affermata la ritualità dell’arbitrato quando nella clausola compromissoria compaiono espressioni come controversia, giudizio, giudicare (quest’ultima espressione declinata in tutte le forme verbali), per altro verso non si ritiene che valga ad escludere la ritualità dell’arbitrato la circostanza che la clausola preveda “l’esonero degli arbitri dalle norme di procedura”.
in buona sostanza, è necessaria, la convergenza, nel senso dell’irritualità, di entrambi i criteri ermeneutici individuati dalla giurisprudenza: quello testuale fondato sull’interpretazione letterale della clausola statutaria e quello (prevalente) di natura sostanziale, desumibile dalle regole di ermeneutica contrattuale, volto ad accertare le volontà delle parti.