Arbitrato rituale: il procedimento, il lodo e l’impugnazione del lodo

L'operatività del'arbitrato rituale: introduzione, istruttoria, decisione, impugnazione

L’arbitrato rituale è uno strumento alternativo di risoluzione del conflitto di natura privata tramite il quale due o più parti intendono derimere una controversia senza l’impiego degli ordinari mezzi di tutela messi a disposizione dal legislatore ed alla fine del quale viene emesso un provvedimento chiamato “lodo”.

Data la natura privatistica dell’arbitrato rituale, le parti, già nella convenzione d’arbitrato o con atto scritto separato determinano la sede dell’arbitrato, nonché le forme e la lingua da osservare nel procedimento.  L’art. 816 c.p.c. stabilisce che la sede dell’arbitrato rituale debba coincidere con il luogo in cui è stato stipulato il patto compromissorio salvo il volere diverso delle parti ovvero essere stabilito in Roma se tale luogo è all’estero.L’indicazione della sede comunque non vincola gli arbitri nel compimento delle loro funzioni, potendo gli stessi, se la convenzione arbitrale non lo escluda espressamente e/o tacitamente, tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare e apporre le loro sottoscrizioni al lodo in qualunque altro luogo, anche fuori dal territorio nazionale.

Regolamentando lo sviluppo del procedimento arbitrale l’art. 816-bis c.p.c.lascia agli arbitri la facoltà di regolare l’arbitrato rituale nel modo più opportuno per derimere conflitto. Tale libertà di forma è, però, limitata dall’inderogabile attuazione del principio del contraddittorio, pena l’impugnabilità del lodo per nullità ex art. 829, co. 1, n. 9, c.p.c.

L’arbitrato rituale si apre con l’accettazione degli arbitri del mandato ricevuto. L’atto introduttivo del procedimento arbitrale, con cui una parte rende noto all’altra l’arbitro che essa nomina, deve contenere anche la corretta individuazione del diritto che si vuol far valere (Cass., 8.4.2003, n. 5457). Solo infatti una domanda arbitrale validamente specificata, con l’individuazione di petitum e causa petendi, se pur libera nella forma (Cass., 10.2.2003, n. 2472), consente il prodursi di effetti equivalenti a quelli realizzati con la proposizione della domanda giudiziale.

L’ambito soggettivo dell’arbitrato rituale può anche essere oggetto di ampliamento ed, infatti, ai sensi dell‘art. 816 quinquies c.p.c., è possibile anche la chiamata del terzo, sia essa proveniente direttamente dalle parti o sollecitata dagli arbitri ancorché senza coercizione effettiva. A fronte di un allargamento soggettivo del procedimento arbitrale successivo alla sua instaurazione, il collegio giudicante resta di per sé immutato. Saranno invece sempre e liberamente ammessi, senza necessità di alcun preventivo consenso tanto l’intervento adesivo dipendente, quanto quello del litisconsorte necessario pretermesso, a condizione che a quest’ultimo, sia data la possibilità di partecipare, in posizione paritaria rispetto alle altre parti, alla formazione dell’organo giudicante, pena l’improcedibilità dell’arbitrato.

L’art. 816 ter c.p.c., in tema di arbitrato rituale, offre agli arbitri la possibilità: di delegare l’intera istruzione o i singoli atti a un solo componente del collegio; di assumere testimonianza, anche scritta, ovvero di acquisire la deposizione del testimone presso la residenza o l’ufficio di questi; di ricorrere, quando considerato opportuno, al presidente del tribunale competente affinché ordini la comparizione del testimone che si rifiuti di presenziare, con conseguente sospensione del termine per la pronuncia del lodo fino alla data fissata per l’assunzione della testimonianza; di farsi assistere da consulenti tecnici, siano esse persone fisiche o enti; di chiedere alla p.a. le informazioni scritte in suo possesso necessarie ai fini del giudizio. Gli arbitri non potranno avvalersi di strumenti probatori implicanti l’esercizio di poteri imperativi quali l’ordine di esibizione a un terzo, il giuramento, la querela di falso ed, in ultimo, anche il potere di concedere misure cautelari.

L’arbitrato rituale generalmente si conclude con una decisione chiamata Lodo arbitrale. Terminata la fase istruttoria, ai sensi dell’art. 820 cpc, l’arbitro, però, potrà emettere vari provvedimenti:1) l’ordinanza non impugnabile, ma revocabile e non soggetta a deposito, con la quale si risolvono tutte le questioni che si presentano nel corso del procedimento non altrimenti definite; 2) il lodo lato sensu «non definitivo», con cui si decide parzialmente il merito della controversia ovvero si risolvono alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale; 3) lodo definitivo, per mezzo del quale si statuisce integralmente sul merito della lite compromessa entro il termine convenuto dalle parti e reso noto agli arbitri prima dell’accettazione della loro nomina o, in assenza di accordo, non oltre 240 giorni dall’accettazione medesima.

Nel decidere si applicano, di regola, le norme di diritto, salvo che le parti vogliano avvalersi di un giudizio di equità. Per la deliberazione del lodo si ha un quorum costitutivo dato dalla presenza di tutti i componenti del collegio arbitrale ed un quorum deliberativo raggiunto con la maggioranza dei voti. Il lodo presenta un contenuto tipico e indefettibile, che, a pena di nullità, deve essere costituito dall’esposizione sommaria dei motivi, dall’enunciazione del dispositivo e dalla sottoscrizione (anche della sola maggioranza) degli arbitri. Della deliberazione, redatta necessariamente per iscritto in uno o più originali, deve quindi essere data comunicazione, entro 10 giorni dalla sottoscrizione, alle parti e,  dalla data della sua ultima sottoscrizione, il lodo acquisisce gli stessi effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria di cui all’art. 2909 c.c., divenendo vincolante tra le parti e i successori

Il lodo può essere sempre oggetto di impugnazione e, nello specifico, quello che decide anche solo parzialmente il merito della controversia e indipendentemente dal suo deposito, è suscettibile di impugnazione per nullità, revocazione e opposizione di terzo in via immediata; mentre il lodo non definitivo che risolve alcune delle questioni insorte, senza però definire il giudizio, è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo. I tre mezzi di impugnazione sono esperibili davanti alla corte d’appello nel cui distretto l’arbitrato ha sede. Legittimati all’impugnazione per nullità del lodo sono, oltre alla parte, anche il terzo intervenuto, secondo le regole ordinarie, nonché il successore nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c.

Il termine per proporre l’impugnativa, che di per sé non sospende l’efficacia del lodo, è di 90 giorni dalla notifica dello stesso ovvero un anno dalla data della sua ultima sottoscrizione. I motivi di impugnativa sono da ricondursi tanto a vizi di attività quanto a vizi di giudizio, salvo sia stato demandato agli arbitri di decidere secondo equità. L’art. 831 c.p.c. contempla infine l’impugnazione del lodo per revocazione e opposizione di terzo, quali rimedi straordinari avverso il lodo passato in giudicato, non più impugnabile per nullità.